Sergio Dalmasso storico del movimento operaio. QUADERNI CIPEC e Altri Scritti
  

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Brevi considerazioni sul congresso e il dopo  Luglio 2008   Torna alle categorie

Brevi considerazioni sul congresso e il dopo

Brevi considerazioni sul congresso e il dopo

 

Il nostro congresso.

I risultati del congresso sembrano ormai delinearsi.

La seconda mozione vince nettamente, anche se non raggiunge la maggioranza assoluta.

Valle d’Aosta a parte, trionfa in quasi tutte le regioni meridionali (eccezioni l’Abruzzo e la Sicilia) e nel Lazio.

L’accordo Ferrero- Grassi, sulla carta, nel Comitato politico nazionale e in quelli provinciali prevalente, si ferma a poco più del 40%.

Il quarto documento, Falce e martello, ottiene un buon 3%, anche sorprendente, che testimonia il lavoro (anche di formazione) verso fabbriche, scuole e giovani che il gruppo svolge. Non ci convincono l’entrismo e la logica di “gruppo nel partito”, ma questo è un altro discorso.

E’ inutile negare che il nostro documento sia andato male. Risultati eccellenti in alcune regioni e città (Liguria, Friuli, Molise, Torino, Firenze, Bologna), affermazione in un buon numero di circoli e in alcune piccole o piccolissime federazioni. Il dato complessivo, inferiore all’ 8% (e mancano ancora cento circoli quasi tutti meridionali), è comunque deludente.

Abbiamo pagato:

  •  il discorso del voto utile, a Ferrero per “salvare il partito.
  •  Il bipolarismo che anche qui ci ha colpiti
  •  la non univocità del modo in cui la nostra proposta è stata presentata
  •  la “concorrenza” del quarto documento che è parso più “di base”, meno ingessato, più alternativo.

E’ inutile negare che l’idea forza di ricostruzione di una soggettività (partito) comunista (appello del 17 aprile) e della necessità di riaprire un confronto non solo, ma anche con il PdCI ha suscitato reazioni negative, sospetti, timori, riaperto vecchie polemiche: E’ inutile votare per voi che tra pochi mesi ve ne andate, Avete già le valigie in mano. Abbiamo già subito troppe scissioni. Non si può discutere con Rizzo e Diliberto. Ci criticate sul governismo, ma loro sono governisti e hanno accettato la guerra del 1999. E così via.

Abbiamo inoltre verificato, anche al nord, la profonda trasformazione del nostro partito: calo di militanza, assenza di dibattito politico (non parliamo di quello teorico), afasia dei circoli, peso degli istituzionali, voto personalizzato su indicazione del “capo” (sono spiegabili altrimenti i “cappotti” in tante realtà?). Ancor più che al congresso scorso dove il fideismo verso Bertinotti era profondo.

Siamo stati piacevolmente sorpresi dal sentire che tutti sostenevano che il PRC non si doveva sciogliere, che occorreva una gestione collegiale, che l’esperienza di governo è stata fallimentare, che è stato un errore scegliere l’Arcobaleno senza neppure consultare iscritti/e, che non si sarebbe dovuto rinviare il congresso. Ci ha fatto piacere sentir invocare la tenerezza e la necessità di una discussione politica e non personale. Peccato che questo sia l’esatto contrario di quanto il gruppo dirigente, nella sua interezza, ha fatto per anni. E peccato che a queste dichiarazioni seguisse l’invito al voto per la ex maggioranza, oggi dispersa.

A voti quasi definiti è chiaro che nessuna mozione arriverà al 50% e che, quindi, tutti gli scenari sono aperti. L’ipotesi più preoccupante, anche se risulta la più tranquillizzante per un corpo politico provato e demoralizzato, è quella di un accordo tra le due componenti maggiori. Dopo le nette polemiche congressuali, questo produrrebbe una situazione instabile, una sostanziale paralisi (qualcuno/a ricorda il pareggio al congresso di DP nel 1989?).

Troppo netta è la differenza sulla questione fondamentale: la Costituente della sinistra e il rilancio, quindi, dell’ipotesi Arcobaleno. In soldoni, Vendola non può attendere anni per praticarla e Ferrero non può accettarla se non in forma edulcorata (case della sinistra, federazione dal basso tra soggetti diversi). La pace tra le due opzioni si tradurrebbe in un armistizio armato che rischierebbe di esplodere a breve (la scelta per le elezioni europee).

 

Chi siamo e che cosa vogliamo.

Il titolo del paragrafo è autoironico: chi ha la mia età se lo è chiesto mille volte e sempre in fasi negative.

Chi di noi ha votato Sinistra critica al congresso di Venezia (2005) ed ha espresso giudizi negativi verso la nostra esperienza durante il primo governo Prodi (1996- 1998) ha seguito il percorso di Sinistra critica sino alla scelta di uscita da Rifondazione. Non abbiamo concordato con

  •  il giudizio per cui Rifondazione era finita ed era impossibile una qualunque correzione di rotta
  •  la certezza che ormai fosse assorbita all’interno dell’esperienza dell’Arcobaleno che noi giudicavamo fallimentare
  •  la possibilità di costruzione di una alternativa che non tenesse in considerazione settori, esigenze, esperienze critiche all’interno di Rifondazione stessa

Abbiamo sostenuto:

  •  la necessità di costruzione di una opposizione interna che raccogliesse opzioni e storie anche diverse
  •  la possibilità di rapporto tra questa e realtà di movimento (il primo documento dei Cento circoli proponeva l’autonomia del partito e il rilancio dei movimenti per anni esaltati acriticamente e poi compressi dalla nostra politica)
  •  la necessità di riaprire un dialogo “senza rete” con partiti, associazioni, gruppifinalizzato alla ricostruzione di una sinistra comunista.

E’ inutile discutere oggi su scelte passate. Dobbiamo riconfermare la necessità di ricostruzione di una soggettività comunista non minoritaria, come strumento per rilanciare la sinistra nel suo complesso, una opposizione alla barbarie imperante che eviti la ricaduta della protesta e del disagio nell’abbandono (sono tutti/e eguali, non c’è niente da fare) o in populismi alla Di Pietro- Grillo.

Il tempo stringe. I nodi sociali si aggravano (prezzi, salari, precariato, disoccupazione). Le elezioni del 2009 sono per noi l’ultima prova d’appello (una nuova drammatica sconfitta potrebbe essere definitiva e ridurci ad un eterno minoritarismo).

Le scelte che la nostra componente ha davanti a sé sono quindi difficili e richiedono la partecipazioni di tutti/e ed un impegno moltiplicato.

L’ipotesi di rifondazione di una presenza comunista è centrale, ma deve avere alcuni punti fermi:

  1.  occorre ripartire dall’intreccio di partiti, realtà operaie, settori di movimento, intellettualità al centro dell’appello di aprile
  2.  occorre abbandonare operazioni politiciste (accorpamenti di piccoli gruppi dirigenti) che avrebbero fiato corto
  3.  occorre intrecciare iniziative centrali con un grande impegno locale. Bisogna ridiscutere di tutto e da capo, ricostruire circoli, iniziative comuni, dibattiti, riunioni, volantinaggi, raccolte firme, partecipazione a movimenti, associazioni anche tematiche

E’ prioritario e indispensabile l’intreccio di tre livelli:

  1.  sociale nell’impegno contro la distruzione indotta dalle destre e dalla globalizzazione sui temi del lavoro, dell’ambiente, del nodo guerra e pace, del precariato, della migrazione, dell’aumento dei prezzi, della distruzione dei diritti sindacali e delle conquiste delle donne
    1.  teorico dopo il “genocidio” culturale degli ultimi decenni serve il rilancio di una analisi marxista non dogmatica che rifletta sulla nostra storia e la confronti con le emergenze: l’ecologia politica, il pensiero di genere, i nodi guerra/pace e nord/sud del mondo, le nuove forme del lavoro e della povertà, le migrazioni
    2.  politico serve un partito che dia espressione a quanto riusciremo a reggere/ ricostruire nella società

 

Quale partito, come e quando.

Una forza comunista oggi non può non misurarsi con grosse questioni:

  •  la democrazia. Non è questa la sede per tornare su questioni teoriche o su aspetti della storia del PCI (Togliatti, Berlinguer) o della nuova sinistra. La scelta per la democrazia nella società va di pari passo con l’autocritica sul “socialismo reale” autoritario e con la costruzione di un partito plurale, aperto, che decida e pratichi collettivamente le scelte
  •  le matrici. Ognuno/a deve avere l’umiltà di relativizzare le proprie matrici e le proprie storie. La nascita di Rifondazione ha avuto il merito di tentare di fondere esperienze diverse (dal PCI, nelle sue varie anime, alla nuova sinistra quanto mai differenziata). La matrice togliattiano- berlingueriana, per quanto maggioritaria, non è l’unica e deve essere messa a confronto con altre e dialettizzata nell’oggi
  •  il governo. La questione, davanti all’egemonia della destra, non si riproporrà per molto tempo, ma non possiamo cancellarla. Il nostro fallimento negli ultimi due anni segue quello, praticato in modo diverso, del 1996- 1998 (per il PdCI sino al 2001), quello dell’unità nazionale per il PCI (1976-1999), quello del PC francese, uscito per due volte con le ossa rotte da presenze in governi certo migliori di quelli italiani. L’autocritica sull’opzione governista deve essere profonda ed accompagnarsi ad una verifica della nostra presenza nelle giunte locali.

 

Per questi motivi serve:

  •  dare da subito un segnale (appello, convegno nazionale)
  •  proporre liste comuni per le prossime elezioni
  •  finalizzare il nostro impegno alla ricostruzione di una forza comunista unitaria

Serve, però, ancor maggiormente

  •  mettere in piedi iniziative locali su tematiche specifiche
  •  ridiscutere, cercando di recuperare una situazione frantumata e ferita
  •  guardare non solo ai due partiti maggiori, (il rapporto con il PdCI è necessario, però non può essere esclusivo), ma a associazioni, gruppi, circoli, al sindacalismo di base, a Sinistra critica con cui bisogna ricostruire un rapporto, ai/alle giovani che non possiamo lasciare alla destra razzista e fascista, ma ai quali dobbiamo riproporre una pratica sociale e una riflessione collettiva che recuperi i fondamentali dell’analisi marxista, operi una riflessione critica sulle esperienze realizzate, non identifichi il comunismo e la sinistra con la deludente politica degli ultimi anni (la crescita dell’estrema destra deriva anche dalla nostra assenza).

 

E’ opportuno che l’esperienza della componente continui, non si limiti ad incontri di vertice, approfondisca temi, organizzi iniziative aperte, seminari, soprattutto che non si limiti a partite a scacchi nei comitati politici e nelle segreterie.

Davanti anche alle evidenti tensioni interne servono incontri, confronti, chiarimenti che non si limitino al “gruppo dirigente”? La rivista “Ernesto “ può svolgere in parte questo ruolo?

 

Queste sono alcune brevi note, scritte a braccio ed in fretta che spero servano come base per una discussione fra noi.

 

Saluti a tutti/e                                                                                                                            

Torino, 15 luglio 2008                                                                                           Sergio Dalmasso